Vanzone
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Approfondimento
Il piccolo borgo, immerso nel verde dei prati e adagiato su dolci declivi punteggiati di orti e case, è tutto raccolto ai piedi del Monte santa Maria (522 m). Si tratta di un villaggio antico, nominato in atti e carte relativi ai Conti di Biandrate sin dal 1212 e posto in un crocevia di strade che lo collegano a Quarona, Caneto, Cartiglia, Borgosesia, oltre alla Strada Postale (ingrandita nel 1816) e al viadotto ferroviario, sotto il quale esiste ancora (seppur con mutato aspetto e utilizzo) l’antico mulino idraulico. Resistono in vita, tutt'oggi, splendidi casali muniti di loggiati. Al centro del villaggio, sulla piazzetta, si affacciano le vasche del lavatoio e la bella chiesa dedicata a san Giacomo Maggiore. L'edificio è cinquecentesco e si presenta con pianta a croce latina; fu rimaneggiato nel Settecento con l’aggiunta del portico con trabeazione ingentilito da una decorazione a festone e testine di putti. All’interno è semplice e ben dipinto con immagini ad affresco (tra le quali le schiere angeliche e la Trinità nella volta dell’abside) e adorno di belle tele dipinte (come la Vergine delle Grazie, e la Vergine tra san Pietro e Giacomo in abside). Si trovano anche decorazioni con stilemi tardo barocchi e tardive vetrate istoriate con immagini, tra le altre, della Beata Panacea e san Giacomo.
Molto particolare è la presenza della casa di Jaques Frascotti, gessatore e imprenditore edile, rifinita nelle forme attuali a metà Ottocento dal figlio, Antonio, secondo modelli neogotici di moda, in quel periodo, nell’area svizzera; la casa si trova verso il viadotto ferroviario.
In cima al monte che sovrasta l’abitato sta, invece, la chiesa romitica di santa Maria raggiungibile con un sentiero accompagnato da alcune cappelle della Via Crucis (ca. 1772).
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Costruita tra il 1400 e il 1477, la chiesa si trova vicino ai resti del castello dei conti di Biandrate, distrutto nel XIII secolo, tanto che gli studiosi ipotizzano che, originariamente, la chiesa fosse la cappella castrense. Per quanto riguarda il castello, ormai non restano che pochi ruderi sparsi, poco leggibili e solitamente invasi da vegetazione; pare, però, che il degrado peggiore si sia consumato negli ultimi decenni. La proprietà dell’area, nella quale sono stati rinvenuti svariati reperti archeologici, è ancora della famiglia Gilodi, erede del grande architetto Costantino. All’interno della chiesa si trova uno splendido ciclo di affreschi, purtroppo mutilo, con scene della Vita della Vergine risalente alla fine del Quattrocento e attribuito alla scuola dei de Campo; oltre ad un frammentario martirio di san Lorenzo. Poco distante sta un edificio che, in origine, aveva le sembianze di una cappella. Sulla parete di fondo si conserva un affresco straordinario attribuito alla bottega dei Cagnola. L'affresco risale al 1464 e offre le figure dei santi Lorenzo e Stefano a destra e l’immagine della “Messa di san Gregorio” nel momento dell’apparizione del Cristo che versa il sangue nel calice a sinistra. Tra le scene è interposta la figura di una pergamena sulla quale si legge una lauda in volgare in cinque strofe scritta in caratteri gotici; e un testo latino che ricorda l’episodio e la concessione dell’indulgenza di 14 anni a chi avesse recitato la lauda. Il testo sarebbe da ricondurre ad un preciso rituale liturgico o ad un libro di preghiere del periodo carolingio tradotto in un dialetto che circolava nell’Italia settentrionale (Rigaux, 2009, 977) ed è uno dei più antichi documenti in volgare della diocesi di Novara.