L’oratorio di San Lorenzo all’Alpe Seccio
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Approfondimento
Per raggiungere l’Alpe si percorre, in circa due ore, un bellissimo sentiero adorno di cappelle e oratori. Si tratta certamente di uno dei sentieri più amati dagli escursionisti ed è percorribile pressoché tutto l’anno. La tradizione vuole che la chiesina di San Lorenzo sia stata la prima chiesa ad essere edificata in Val Sermenza, consacrata il 24 aprile del 1446. I documenti attestano anche la presenza di un cimitero nell’area prospiciente, forse proprio in quell’area che ancora oggi è detta “campo dei morti”. Una carta rinvenuta nell’archivio della chiesa documenta che essa fu “rifugio del IV vescovo di Novara di nome Pascenzio”; anche se, nella conoscenza collettiva, è rimasta ben più salda la tradizione che vuole rifugiato qui, in questo verdeggiante alpeggio, il vescovo Agabio, succeduto al proto-vescovo Gaudenzio nel 417: l’occasione era la fuga dalle persecuzioni perpetrate dagli ariani e, a quel periodo, risalirebbe la prima costruzione della chiesa.
Alla piccola struttura, originariamente costituita da un solo vano nel quale si innesta l’abside e l’altare gregoriano, si accedeva frontalmente: prova ne è il crocefisso scolpito in facciata, visibile dall’attuale sentiero e posizionato sotto la falda del tetto. Essa venne poi ampliata nel Settecento con l’aggiunta di un secondo vano e l’apertura di un ingresso laterale, tutt’ora in uso, che ha significato la perdita di alcune parti degli affreschi interni. Come accade sovente nelle chiese valsesiane, l’apparato pittorico rappresenta la parte più preziosa e scenografica del sacro edificio e, nel caso dell’oratorio di San Lorenzo, identificano il vano più antico. Tutti sono stati eseguiti da ignoto autore entro la prima metà del Quattrocento.
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Dal fianco sinistro, all’esterno, sopra la porticina utilizzata come ingresso attuale, si trovano ancora un grande San Cristoforo, venerato come protettore dei viandanti e dei pellegrini; e una rara figurazione della “ruota della fortuna”, allegoria profana delle mutevoli sorti della vita.
All’interno, nel catino absidale, si trovano la rappresentazione del Cristo “Pantocrator”, ovvero salvifico, inserito in una caratteristica mandorla medievale e circondato, ai lati, dalle figurazioni degli animali antropomorfi simboleggianti gli Evangelisti. Nella fascia sottostante appare, in mezzo alle due finestrelle, l’immagine di San Lorenzo e, ai lati, due momenti della sua agiografia: a sinistra il Santo davanti all’imperatore Valeriano poco prima della sua uccisione e, a destra, il martirio. Sulla facciata dell’altare è dipinta l’immagine di un Cristo morto, del quale sono messe in evidenza le piaghe del martirio.
Sull’arcone trionfale, in alto, è stata dipinta un’Annunciazione, nella classica composizione: l’Arcangelo Gabriele sulla sinistra, il Dio Padre in centro, la Vergine sulla destra.
Nella fascia bassa e poi nella parete di sinistra scorrono, in una Biblia Pauperum di grande interesse compositivo, diverse figure di santi: S. Giovanni Battista, Santa Caterina d’Alessandria, S. Anna Metterza, Sant’Antonio Abate, Santa Apollonia, San Bartolomeo, San Marco, una Crocifissione.
Sulla parete destra sta l’affresco più noto: una Ultima Cena, riccamente imbandita e descritta, con gli Apostoli intenti a banchettare – alcuni sono riconoscibili da oggetti particolari (es. San Pietro) – e dove, curiosamente, appare anche Mattia, l’Apostolo che sostituisce Giuda dopo questo momento conviviale. La successiva annessione del vano settecentesco ha significato la rovina di qualche parte di questo affresco. Tutte le figure sono contraddistinte dal proprio nome inserito nella parte alta della cornice bianca e rossa.
Nel complesso, il linguaggio del pittore può dirsi particolarmente colto: lo si evince dalla presenza massiccia di richiami testuali (inseriti nei libri, nei cartigli, nelle cornici), dalla dovizia di particolari con cui sono descritte tutte le scene (il movimento dei capelli e delle barbe, la ricchezza degli abiti: panneggi ben drappeggiati, resa di tessuti differenti, etc).