Il personaggio: Beata Panacea de’ Muzzi
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Approfondimento
Le notizie relative alla vita di Panacea de’ Muzzi si mescolano tra verità storica e leggenda agiografica ma tratteggiano anche gli usi e i costumi della società valsesiana e della vita delle donne, rimasti pressochè immutati per secoli.
Nata a Quarona dal matrimonio tra Lorenzo de' Muzzi, di Cadarafagno e Maria Gambino, di Ghemme, Panacea (1368 -1383) resta orfana della madre in tenera età. Per questo il padre decise di risposarsi e prese in moglie una certa Margherita Galloggi di Locarno. La tradizione vuole che i rapporti tra Panacea, la sorellastra e la matrigna non fossero buoni, tanto che quest’ultima pare tormentasse la ragazzina in molti modi. Panacea viene descritta come una giovane donna di grande virtù e, soprattutto, di grande fede: pregava molto, era obbediente, caritatevole verso i poveri e i malati, si occupava solertemente degli armenti della famiglia, portandoli ai pascoli, delle faccende domestiche, della tessitura.
In una sera di primavera del 1383 la matrigna, non vedendola rincasare, salì a cercarla tra i boschi del Monte Tucri, dove Panacea aveva portato le pecore; trovandola in preghiera si adirò molto e, rimproverandola, finì per ucciderla colpendola con un fuso o un bastone. A questo punto della storia le notizie si mescolano con le tradizioni agiografiche legate alla devozione popolare: le campane della chiesa di san Giovanni iniziarono a suonare all’impazzata, mentre il fascio di legna raccolto poco prima dalla fanciulla iniziò a bruciare. Spaventata e, forse, rinsavita dalla rabbia, la matrigna in preda al rimorso si recò nelle vicinanze di un burrone e si suicidò: si dice che dove rotolò il suo corpo non crebbe più l’erba. I paesani accorsero e fecero l’amara scoperta: ma non riuscirono a spostare Panacea poiché il suo corpo era divenuto pesantissimo; fu chiamato il sacerdote e, alla fine, si decise per l’utilizzo di un carro trainato da buoi che iniziarono la discesa dal monte per avviarsi in paese. Giunti in prossimità dell’attuale santuario della Beata “al piano”, il carro si fermò perché i buoi non volevano proseguire il cammino. Nel frattempo arrivò il padre; i buoi furono allora sostituiti da giovenche e si decise per trasportare Panacea fino a Ghemme, dove era sepolta la sua madre naturale. Lungo il tragitto il carro si fermò altre volte: ad ogni fermata, in seguito, furono erette delle edicole per la preghiera.
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Subito si sviluppò il culto legato alla sua persona, anche in virtù delle doti spirituali incarnate da Panacea, divenuta modello di santità locale e di fede vissuta quotidianamente per superare ogni avversità. Oggi Panacea è ricordata come patrona della Valsesia e la ricorrenza della sua morte è fissata al 5 maggio: ogni anno si svolgono processioni a piedi da Quarona verso Ghemme e uno “scambio” di pellegrini tra i due paesi cui fanno seguito diverse celebrazioni ed eventi.
L’iconografia della Beata ritrae sempre la pastorella con in mano la rocca e il fuso, strumenti del martirio, circondata dalle pecore, anche se l’immagine più frequente è proprio quella del martirio nel quale si osserva la matrigna nel gesto violento di colpirla e, accanto, il fascio di legna che brucia (forse un rimando ai falò che si facevano in sua memoria).
Curiosamente, la fonte più antica che narri della vicenda della giovane pastorella quaronese è rimasta impressa sulle mura dell’oratorio di san Pantaleone, in località Oro di Boccioleto: si tratta di uno splendido ciclo di affreschi, risalenti al 1467, realizzati dalla bottega di Luca de Campis. Gli affreschi illustrano alcuni momenti salienti della vita di Panacea tra i quali la carità verso i poveri, il martirio e il trasporto della salma verso Ghemme.