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Dedicata a san Michele Arcangelo, considerato il protettore delle aree di confine, la chiesa parrocchiale di Rimella si erge incastonata tra le case del centro, affacciata sulla piazzetta antistante l’edificio comunale. La parrocchia divenne autonoma nel 1602. La chiesa fu eretta nelle forme attuali nel corso del Settecento per volontà del parroco don Domenico Tosseri. Il disegno progettuale era dell’architetto valsesiano Giuseppe Tamiotti di Rossa, seguito dal capomastro Alberto Giuseppe Molino, e rappresenta uno dei più mirabili esempi di architettura religiosa del periodo, tanto che il vescovo di Novara, salito a Rimella per consacrare la chiesa, la definì “una basilica tra i monti”. Don Florindo Piolo, descrivendola, aggiungerà “come sarebbe un paradosso pellegrinare a Roma e tralasciare di visitare San Pietro così sarebbe portarsi a Rimella e ripartirne senza aver visitato la magnifica chiesa parrocchiale”. Tuttavia sappiamo dai documenti che esisteva una precedente struttura cinquecentesca alla quale appartenevano alcuni degli arredi ancora presenti. L’interno si presenta a navata unica, con una planimetria ovoidale, ricca di decori e arredi lignei: la documentazione del periodo e quella posteriore, infatti, la indicano come una delle chiese della valle più riccamente arredata. Il più importante arredo era l’altare maggiore piramidale, posto al centro del presbiterio ma in seguito smembrato tra il 1780-82 durante i lavori che porteranno la chiesa alle forme attuali. Ne facevano parte le quattordici statue in legno scolpite, dorate e dipinte accompagnate da alcuni bassorilievi che figurano, oggi, negli stalli del coro e appesi alle pareti. Le composizioni rappresentano alcuni santi (Michele, Gottardo, Pietro, Paolo, Vergine Assunta) e scene tratte dai Vangeli (Natività della Vergine, Adorazione dei Magi). L’altare di Rimella era uno dei più antichi presenti in Valsesia lavorati “a piramide”: esso veniva già descritto nella visita pastorale del 1594 ma sappiamo che era stato realizzato tra il 1580 e il 1590, in concomitanza con alcuni lavori di ampliamento della chiesa e conclusasi verso il 1587 (si nota la data inscritta sull’architrave di una portina laterale). L’autore dell’opera è rimasto sconosciuto ma gli studiosi tendono ad affidarne l’esecuzione ad uno “scultore del Sacro Monte” (probabilmente nella cerchia di Domenico Alfano) dal momento che il possibile committente dell’opera era don Antonio Cracco, nativo di Roccapietra, vicino alla bottega dei d’Enrico e dei Rocca.


L’altra opera di grande pregio è il battistero, costituito dalla vasca in pietra e dal cassone in legno, come di consueto. Il cassone del fonte battesimale (1670 - 1680) è realizzato con una perizia da oreficeria e composto di formelle intagliate e dorate su fondo azzurro narranti la storia di Giovanni Battista. L’autore è stato individuato in Antonio Fontana, scultore di Rossa, che realizza anche la splendida ancona per l’altare di san Giovanni (1676), l’ancona dell’altare della Madonna del Rosario completa dei quindici Misteri e delle sculture di san Domenico, santa Rosa e della Madonna (1684), l’ancona per l’altare di san Giulio corredata dalla scultura raffigurante la Madonna del Carmine (1684 -97) e gli stalli del coro, scolpiti in collaborazione con Pietro Fontana (1670 - 1680) con una bella ritmica tra elementi geometrici e figurativi. In sacrestia sono sistemati un cassone e un armadio del Michele Cusa (1720). Vi si trovano poi alcune tele settecentesche: in abside una grande tela dipinta da Giuseppe Mazzola di Valduggia raffigurante la Vittoria di san Michele su Lucifero (si dice che il Mazzola avesse subito l’amputazione della mano destra e che dipinse l’opera con la sinistra); nel presbiterio si trovano l’Apparizione di san Michele al Gargano (Michele Cusa) e una Ascensione (Francesco Cusa). La volta è affrescata da un certo Gambini, artista probabilmente originario della valle Anzasca. La cappella di santa Gioconda fu affrescata da Lorenzo Peracino di Cellio. Qui venne poi sistemata un’urna reliquiario con alcuni resti della Santa, estratti dalle catacombe di Roma e portate a Rimella nel 1790. L’organo risale al 1862. Nel Cinquecento era consuetudine praticare un rito, interdetto presto dai vescovi: i bambini morti senza il battesimo erano adagiati sopra l’altare della Madonna in attesa che “uttreviviscant et baptizentur”, cioè si attendeva alcuni giorni per vedere se si verificassero casi di riviviscenza per poi procedere al battesimo.

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