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Abito tradizionale di Varallo

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Approfondimento

Dopo quasi un secolo di oblìo l’abito di Varallo è tornato a rappresentare la città ai piedi del Sacro Monte grazie ad un’opera di ricostruzione basato su documenti. Inspiegabilmente, infatti, verso la prima metà del Novecento, l’abito che oggi indichiamo come “tradizionale” uscì dall’uso comune.

Un lungo percorso di comparazione ed esame di fonti e immagini, durato un anno, ha permesso di ricostruire la forma che, in antico, doveva avere l’abito indossato dalle donne varalline. Le immagini indagate durante lo studio sono state estrapolate sia dall'ambito religioso che civile insieme a cartoline, illustrazioni su manifesti e libri, affreschi su edifici cittadini, dipinti conservati in Palazzo dei Musei. Grazie al rinvenimento di un esemplare dell’abito repertato nel Museo Civico di Civiltà di Roma tra il 1909 e il 1910, donato dal professor Alessandro Roccavilla, è stato possibile incrociare i dati più attendibili e iniziare l’opera sartoriale di ricostruzione del vestito. Alessandro Roccavilla (1865 – 1929) fu professore, storiografo e storico dell’arte, uno dei maggiori studiosi di aspetti demo-etno-antropologici dell’area biellese e valsesiana. Fu anche tra gli organizzatori dell’Esposizione Universale di Roma del 1911 - motivo per cui, presumibilmente, l'abito varallese arrivò ai Musei Civici romani.

L’abito storico di Varallo è così composto: una camicia di tela con collo non molto alto e senza puncetto; un abito lungo color rosso mattone privo di corpino e di plissettatura nel retro della gonna; un giacchino arricchito da maniche lunghe abbondantemente arricciate; un grembiule blu con bordatura gialla nel fondo. Si completa con un foulard giallo, calze bianca e scarpe nere (non Scapini).

Il tratto distintivo proprio dell’abito di Varallo è rappresentato, dunque, proprio dalle maniche lunghe e arricciate del giacchino superiore.

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